di Max Abordi
Il mio viaggio verso l’isola e’ iniziato alla fine di marzo, raggiungere Lampedusa via terra diventa una lunga attesa: prima la macchina, poi ore e ore in nave i mezzo al mare, di nuovo la macchina . Il viaggio all’inizio e’ condiviso. Prima il primo centro di smistamento a Mineo, il parco giochi. Poi Porto Empedocle fino a Lampedusa otto ore di nave, e il viaggio fatto assieme a dei Carabinieri, col pensiero delle parole di un lampedusano : “Mi viene da piangere a pensare al Porto!” E all’arrivo finalmente, il Porto: era una distesa umana. La situazione e’ degenerata in caos i continui sbarchi avevano stremato l’isola di Lampedusa quasi al collasso con il rischio di uno scontro tra i migranti tunisini e la popolazione, accampamenti e tende e la plastica dei sacchetti e delle bottiglie d’acqua. Poi con un colpo di bacchetta l’isola è stata sgomberata con l’ utilizzo di sei grandi navi e l’impiego di un numero dispendioso di forze dell’ordine. Ma la cronaca dopo un pò di tempo lascia spazio alla riflessione.
PHOTO © MAX ABORDI LAMPEDUSA, Marzo 2011 - Immigranti tunisini manifestano nel centro del paese LAMPEDUSA, March 2011 - Immigrants from Tunisia protest in town center |
Di quei giorni ricordo il caos ma anche la grande energia che si respirava sull’Isola, un desiderio, quella speranza che accumunava tutti i tunisini che avevano affrontato un viaggio in mare faticosissimo col coraggio dei grandi marinai e con la grande speranza che li faceva volare come gabbiani sicuri del loro volo. Lampedusa e’ il Vento. Li respira l’entusiasmo perchè si leggeva negli occhi dei ragazzi tunisini un desiderio e una grande voglia di cambiamento che li faceva superare le enormi difficoltà climatiche.
Il vento rende l’ isola molto fredda di notte. E partiti con pochissimo bagaglio, un sacchetto o uno zainetto si puòl solo immaginare quanto il loro entusiasmo sopperisse alle enormi difficoltà e la mancanza di un riparo.
L’ isola ha vegliato su di loro e gli ha offerto un pò di riposo per il loro lungo volo verso Ventimiglia e chissà oltre. Poi passa l’emergenza e si torna alla normalità. L’isola è di nuovo sotto controllo e i migranti riportati nella gabbia del Cpt di Imbriacola, ripulito e ricucito per bene. Chiuso e sigillato e controllato a vista e il filo spinato e’ tornato di nuovo al posto delle tende e dei fuochi.
Mi chiedo: per dei ragazzi di 20 25 chiuderli in una gabbia quando erano alla ricerca di una nuova speranza, cosa può produrre? La fine del sogno, e la paura del rimpatrio perche’ li sanno che saranno massacrati di botte dalla Polizia tunisina. L’ansia. Ma li non ci sono psicologi forse solo la solidarieta’ dei volontari.
E’ martedi 13 o 12 aprile sull’isola quasi si perde la cognizione del tempo, la situazione sembra sotto controllo orami nessun tunisino e’ piu’ in giro la maggior parte e’ stata imbarcata nei giorni scorsi e il manicomio del Porto di Lampedusa come ‘e stato definito dai cittadini dell’isola e’ ripulito. Uso il termine manicomio perchè credo che gli italiani di facciata siano brava gente ma in realtà nascondono un bel po’ di ipocrisia … abbiamo paura dei giudizi altrui. Mi arrabatto, la mattina non succede quasi nulla tranne l’imbarco a cala Pisana. Cosi inizio a girare per l’ìsola, in bicicletta, compagna fedele, sono alla ricerca del Cpt di zona Imbriacola stavolta l’accesso e’ chiuso dalle Forze dell’Ordine. Il centro di detenzione temporanea è blindato!
Passa un po’ qualche saliscendi che mi taglia le gambe ed eccomi raggiungere gli altri colleghi appostati in alto come falchi predatori in attesa di qualcosa, il collega della Reuters si lamenta che ha prestato il tele- obiettivo a un collega giapponese e mi ripete : “Mai e poi mai presterò l’obiettivo a un collega.” E’ la solita questione, pensava di aver perso una foto importante . Le attese sotto il sole possono diventare stressanti.
E i fotografi lo sanno!
Ecco in un attimo si sente tensione, qualche grida, poi fumo salire dal centro, e’ il panico e qualche ragazzo si sentira’ male!
I tunisini iniziano a correre e si arrampicano su per la rete di recinzione e la scavalcano, corrono in alto forse sperando di liberarsi in volo gridano : “Libertè” , e corrono in alto fin oltre le telecamere qualcuno si ferma perche’ capisce che da lì e’ impossibile scappare ma altri ci provano e corrono sperando Insciallah di arrivare da qualche parte ma l’isola e’ piccola , e’ un approdo per i gabbiani stanchi della traversata nel Canale di Sicilia.
Ora il mio viaggio e’ continuato fino a Ventimiglia e il loro pure, li ho incontrati sul treno regionale che andava alla frontiera con la Francia erano in tre Mohammed quello più malconcio influenzato e stanco e nervoso e Nabil il più giovane e sorridente e la malinconia negli occhi “Bonne chance mes amis”.
A Ventimiglia il desiderio di libertà è più profondo e grande del mare, costringe non solo a rinunciare alla famiglia, abbandonare la propria citta’ il proprio Paese, lasciarsi alle spalle attese e sentimenti, si infrange contro la selettivita’ dell’Europa ricca, con la violenza degli uomini, la discriminazione e la reclusione.